Intervista con...

Una storia scabrosa di scottante attualità, fatta di violenze e perversioni, in cui le uniche vittime sono innocenti, quei bambini che cadono in una rete di abusi, fisici e psicologici, dalla quale liberarsi risulta difficilissimo, rimanendo segnati irrimediabilmente..

Dal 18 aprile in tutte le librerie e in quelle Mondadori, per Bonfirraro editore, I bambini non hanno mai colpe” il nuovo thriller di Ismete Selmanaj, la scrittrice di origini albanesi, alla sua seconda prova con la lingua italiana, dove analizza una delle piaghe più mostruose della società contemporanea, la pedofilia.

Il romanzo è un’opera letteraria che affonda le sue radici sociologiche nell’Albania post comunista (dove si assiste ancora a un rigurgito di un antico codice comportamentale, il Kanun) ma che si erge a messaggio universale, perlustrando l’animo umano nei suoi recessi più oscuri, scoprendo risvolti inconfessabili, costringendo l’emersione di fatti delittuosi gravi e intollerabili. Oggi, come emerge dal racconto, tale crimine, una volta scambiato per pratica sessuale, rientra anche nella logica del “mercato globale” e dello sfruttamento dei poveri: tutto si può ottenere, se si paga adeguatamente.

Pur se presenti alcune scene “crude”, e nonostante l’intrinseca sgradevolezza della tematica trattata, grazie al pudore e alla sensibilità dell’autrice prevale la delicatezza e il rispetto umano.

La prima presentazione ufficiale sarà a Capo d’Orlando il prossimo 30 aprile, in occasione della giornata mondiale contro la pedofilia.

 Selmanaj, un romanzo senza giri di parole sulla pedofilia. Perché la scelta di narrare questo tema scabroso?

La scrittrice Ismete Selmanaj

La scrittrice Ismete Selmanaj

“L’idea mi aveva sfiorato da tempo. Quando iniziai a scrivere ”Verginità Rapite”, avevo già in mente anche questa storia. Sono entrambe narrazioni forti, di una cruda verità, venute fuori una dopo l’altra in lingua albanese.

Questa volta, però, ho concepito “I Bambini Non Hanno Mai Colpe”, edito dalla stessa casa editrice, come una forte denuncia nei confronti di quello che è successo nell’Albania post comunista dal 1991 ad oggi, com’è cambiata la società, la mentalità, come sono crollati, come castelli di sabbia, i tabù secolari che neanche il regime totalitario di Hoxha riuscì ad abbattere, almeno nella mente della gente.

Uno di questi tabù è, appunto, la pedofilia che è stata da sempre un fenomeno proibitissimo e sconosciutissimo alla cultura maschilista albanese. La società albanese, a partire dal Medioevo, era regolarizzata da una tradizione giuridica consuetudinaria, dal cosiddetto Kanun delle montagne. Il Kanun aveva le regole ben precise per tutti gli aspetti della vita. Posso menzionare la besa, che in italiano vuol dire promessa, parola data che è una cosa sacra. Quando si dà la besa, essa va mantenuta, anche a costo della vita. Un detto famoso albanese recita “l’albanese, quando da la besa, sgozza anche il figlio per mantenerla”. Altri principi fondamentali del kanun sono l’onore, l’umanità, l’ospitalità e gjakmarrja (presa del sangue). In tutti questi “valori”, si mantenevano delle regole da rispettare, per esempio, le donne e i bambini sono intoccabili. Dopo la caduta del comunismo, sono rifioriti vecchi rancori e la società albanese deve far i conti con la pedofilia, abuso sui minori, la tratta degli esseri umani che lo stesso Kanun  condanna fortemente”.      

 Attraverso quale tecnica narrativa ha costruito l’intreccio di questo thriller?

“Questo thriller si sviluppa parallelamente in due tempi; nel passato e presente e il narratore  racconta in terza persona.  Nelle mie storie c’è sempre un po’ di giallo, ma in questo libro tutta la storia è un thriller. I personaggi hanno un conto in sospeso in una tragedia di tanti anni addietro che condizionerà le loro vite in modo diverso, seppur doloroso. Quando la verità viene a galla, sarà un colpo grosso per tutti; nessuno escluso”.

 Si riferisce, in particolare, a qualche storia vera?

“Storie come quelle che racconto nel libro ce ne sono tante anche se non faccio riferimento a qualcuna in particolare. Oggigiorno in Albania i casi di intere famiglie recluse in casa nel nome di presa del sangue oppure del debito di sangue, sono numerose. Dalla paura di essere uccisi  si chiudono in casa non soltanto gli uomini, ma anche le donne e i bambini. Ci sono bambini già nati in debito di sangue, che non hanno mai visto il mondo fuori dal portone di casa.  Ci sono donne che impugnano il fucile e che nel nome del Kanun, uccidono a sangue freddo uomini e ragazzini. Ci sono persone che scappano dall’Albania perché  in debito di sangue….Gjaksit, così si chiamano quelli che hanno il diritto di uccidere, ma non più secondo le regole rigide del Kanun, li cercano e tante volte li trovano in capo al mondo. Le cronache televisive sono piene di casi di giovani uccisi per le strade di mezzo mondo nel nome del debito di sangue e delle storie allucinanti di bambini abusati, casi di incesti e di minori scomparsi nel nulla. Negli ultimi dieci anni i casi di bambini scomparsi si sono moltiplicati vertiginosamente”.

 Il Kanun, antico codice comportamentale: ci spieghi come e perché sta ritornando in auge in Albania?

“La società civile in Albania sta lavorando molto in questo campo. Da anni si è creata  “La  Casa Della Giustizia e Della Riconciliazione Nazionale” che sta facendo un gran lavoro come intermedio tra le famiglie in debito di sangue riuscendo in molti casi ad arrivare al perdono.

Durante quasi  mezzo secolo del regime comunista di Hoxha, questo codice del Medioevo fu abolito del tutto con il pugno di ferro. Le dittature hanno il potere di sradicare tali fenomeni quando si tratta di mandare avanti i propri interessi. Hanno mezzi e modi per poterlo fare e le ragioni principale furono due: la prima, la più importante, era che il regime voleva restaurarsi con forza nel Paese, dettando le sue leggi e non poteva permettersi che altre leggi giuridiche funzionassero parallelamente; la seconda ragione era la difficoltà di sradicare  queste leggi medioevali della gente del Nord che hanno vissuto nei secoli applicando alla lettera il Kanun.

La gente delle montagne citava: l’ha detto il Kanun, senza alcun diritto di replica di tutto ciò che esso dettava. Nonostante tutto ciò, in alcune zone settentrionali dell’Albania neanche il regime riuscì a sradicare del tutto il  fenomeno del debito di sangue. Sicuramente aveva contribuito a farlo cadere in un sonno profondo e letargico, per poi svegliarsi più affamato e più feroce di prima e a distanza di cinquant’anni, iniziò esattamente da dove un tempo lontano si era fermato. Non vi erano più le regole e si agiva disonorando il codice stesso”.

 Come la dittatura albanese ha influito su questo fenomeno?

“Non si può parlare della storia dell’Albania senza parlare del Kanun. E nonostante ciò, durante il regime comunista io e i miei coetanei non sapevamo molto del Kanun di Lek Dukagjin. Quel poco che sapevamo ci era servito dal regime a misura ridotta e non il totale contenuto storico e molto  complesso  di questo codice. Sui libri di storia si passava velocemente,  senza approfondire  i vari argomenti da esso trattati…  Premetto, che io ho finito il ginnasio “Naim Frashëri” a Durazzo che è uno dei migliori d’Albania. Il programma era abbastanza completo e fornito… Abbiamo studiato nei minimi particolari la Rivoluzione Francese, la Rivoluzione d’Ottobre in Russia, la  teoria  dei filosofi del marxismo- leninismo, la storia del Partito Comunista d’Albania e dei partiti- fratelli comunisti, come si chiamavano, sparsi negli angoli più sperduti del mondo. Del Kanun  quasi niente… anche se questo è il più importante codice consuetudinario degli albanesi. Il regime si assicurò soltanto di abolirlo e farlo presentare tramite documentari televisivi e  numerosi film trasmessi alla televisione dello Stato che era l’unico in tutto il paese e gestito totalmente da esso. Come sottolinea il professor Matteo Mandalà nella prefazione del libro l’effetto che si è avuto è stato devastante: per un verso, nella parte più ampia del Paese si è definitamente instaurata una cultura giuridica di assoluta derivazione occidentale; per un altro verso, alcune faide, assopitesi nei decenni precedenti, sono state artatamente risvegliate, dando vita ad antiche vendette di sangue che, nel reiterare il macabro spargimento di sangue, lo effettuano in pieno dispregio delle norme previste dal Kanun.

In Albania successe esattamente questo”.   

 Quali sono, se esistono, secondo lei le assonanze tra il contesto albanese e quello siciliano?

“Erroneamente, ho notato che si fa un paragone della faida con il Kanun. Ci sono differenze sostanziali tra i due fenomeni. La faida è una vendetta dove non c’è il rispetto per la persona uccisa e i suoi familiari. Il Kanun è molto diverso e con regole ben precise su questo specifico punto. Secondo il Kanun, la famiglia con la quale si è in debito di sangue va rispettata anche dopo aver eliminato uno dei maschi di essa; si uccide mai alle spalle e con un solo proiettile. La persona che uccide chiede il permesso ai familiari di partecipare ai funerali rispettando il loro dolore. Permesso sempre accordato. Anche i familiari della persona uccisa rispettano colui che ha compito l’uccisione  come un atto dovuto. Altrimenti esso avrebbe perso l’onore…una cosa sacra.

Il Kanun è stato e continua ad essere soggetto di dibatti accademici proprio per la sua complessità e il modo della sua evoluzione nei secoli.

Credo che la possibilità di distanziarsi da queste leggi del Medioevo ci sia e sia in corso d’opera. Io ad esempio lo racconto con storia dove si parla di persone e personaggi che hanno visto al di fuori del Kanun e delle sue barbariche leggi. Questi miei eroi hanno preso dal Kanun la parte buona di esso, la besa, l’ospitalità, il perdono. Il resto l’hanno  lasciato sui 12 libri del Kanun come una curiosità del Medioevo”.       

1 commento

  1. Ho letto entrambi i libri scritti da Ismete Semalnaj (questo e “Verginità rubate”), i due drammi sono narrati con maestria. Drammi presenti, pur se con altre sfumature, nelle storie di molti paesi in cui gli antichi codici sociali sono stati seppelliti da nuove forme di sicurezza sociale. Come spesso accade nelle dittarure e dopo, quando queste vengono meno, gli antichi rancori tornano a galla. In Albania credo sia avvenuto proprio questo, ovvero che il codice Kanun sia stato sospeso e con la caduta del regime di Hoxa sia subito tornato in auge per perpretare le vendette lasciate in sospeso o rivendicate sulla base delle nuove tensioni sociali.
    Comunque i due romanzi sono belli, spaziano nell’ultimo secolo di storia di quell’angolo di “lago Meditarraneo” che è l’Albania, non tralasciando nulla, compreso il fenomeno speculativo piramidale.

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