Sabato 18 Novembre, con replica domenica 19, alle 17.30, debutterà al Piccolo Teatro della Città, in apertura della nuova stagione della struttura di via Ciccaglione, “Maruzza Musumeci”, adattamento di Pietro Montandon da un racconto di Andrea Camilleri, per la regia di Daniela Ardini, con Pietro Montandon.
La pièce narra d’amore e di vendetta, di magia e di favole. Un’antica leggenda rivisitata e infarcita di simboli e citazioni, tra mito e racconto popolare. Nacque tutto la sera del 1° Gennaio 2008, quando Pietro Montandon ne acquistò una copia in una antica libreria di Torino per regalarlo alla moglie, scrivendole la dedica “il primo libro dell’anno”. “Dopo qualche tempo– racconta l’attore – lei me lo consigliò a sua volta perché le era piaciuto molto: lo lessi e mi innamorai all’istante. Da subito si fece strada in me l’idea di una trasposizione per il teatro, in forma di cunto, di favola, forte della nota finale scritta dall’autore, che in qualche modo legittima la mia ipotesi interpretativa. Un cantastorie (discendente diretto di Minicu il contadino) moderno, un narratore, che racconti al pubblico la storia di Maruzza Musumeci con assoluta semplicità, talora seduto su una sedia impagliata e che, con l’aiuto di espedienti o materiali di“attrezzeria”, crei la suggestione nel pubblico di eventi naturali quali il vento, lo sciabordio lontano del mare, le atmosfere notturne e così via. Nella messa in scena saranno ovviamente presenti alcune musiche per sottolineare e accompagnare momenti della narrazione, fuorché nel canto delle Sirene”.
“È stato un lavoro a quattro mani- continua Montandon – perché ho consigliato il libro anche alla regista, Daniela Ardini, è piaciuto anche a lei e ha accettato di buttarsi in questo progetto”.
Non solo Montalbano: Camilleri in questo libro particolare narra un racconto antico ambientato nella sua Sicilia, che a sua volta aveva ascoltato dai contadini, davanti al focolare, la sera. Il protagonista è Gnazio Manisco, uomo legato più alla terra che al mare, e che finirà per sposarsi con Maruzza, una bellissima ragazza che in realtà è una sirena, con un obiettivo: vendicarsi degli uomini, discendenti di Ulisse, che le aveva offese ai tempi degli antichi dei.
“È un testo ricco di fascino – spiega Daniela Ardini, la regista – perché parla di cultura e tradizione popolare, e Camilleri l’ha impreziosito, aggiungendo citazioni colte e riferimenti alla mitologia e a scrittori come Pirandello”.
Con “Maruzza Musumeci” debutterà la stagione 2017/2018 del Piccolo Teatro della città. Il cartellone offre spettacoli eterogenei dalla fiaba agli autori classici e, ancora, ai contemporanei. Tutti testi drammaturgici curati e rivisitati, per offrire al pubblico un teatro di qualità che sappia coniugare il desiderio di cultura e quello di svago, opere che si rifanno alla tradizione ma anche opere attuali.
Gli altri titoli in cartellone saranno:
“Ballate d’amore” di Giovanni Verga, testi poetici di Lina Maria Ugolini, regia di Gianni Salvo: “ Tre novelle, dalle opere e nei luoghi di Giovanni Verga, per un novellante di turno, la musica e la possibilità di un canto. Temi comuni: amore e gelosia. Tormenti forti per uomini e donne figli della terra e della fatica. I traditi: Lollo e Pentolaccia. I traditori: don Liborio e Bellamà. Le mogli infedeli: Venera e Mariangela. Il sentimento dedito e incondizionato di Peppa per il brigante Gramigna, mala erba e malu cori. Novelle vere come volle udire e rapportare la penna di Verga, raccolte dai campi, consegnate, assorbite, da pagine autentiche di lacrime e respiri. Ballate, per queste rappresentazioni d’omaggio al suo ingegno curate dal Piccolo Teatro di Catania, composte di segrete parole, percepite a labbra socchiuse. Niente di più essenziale e intenso da affidare a una poesia pensata per la musica, concepita per sondare, dilatare, commentare le emozioni di personaggi immortali”- Lina Maria Ugolini;
“Aquiloni incontro di un “Salvatore” detto “Salvo” e di una “Maria” detta “Maddy” con Francesco Bernava e Alice Sgroi, regia di Nicola Alberto Orofino: uno spettacolo, in atto unico, a tratti visionario, surreale, sospeso tra il sacro ed il profano, che nega e regala speranza di resurrezione a tutti attraverso due personaggi, due figure simbolo che, agli antipodi, per stile di vita e percorso esistenziale – in un giorno speciale (o qualunque)- si incontrano, realizzando, concretizzando il “miracolo” della vita, tra musica, citazioni, poesia e tanta spiritualità, in un mondo sempre più spietato;
“Morir di fama” di e con Evelyn Famà, regia di Carlo Ferreri: spettacolo di Evelyn Famà, giovane artista, poliedrica, definita dalla stampa nazionale – “autentica, virtuosistica, sublime, animale da palcoscenico, esplosiva, adrenalinica, versatile”. In scena vestirà i panni di una “attrice” stressata da una cugina ventenne che, come lei, sogna un futuro in TV. Subirà le bizzarre manie della cugina Rita e di parenti tutti matti, mentre assurde telefonate scandiranno lo scorrere del tempo in questo strano mondo in cui è costretta a vivere, tartassata dal culto del successo e dell’immagine;
“La Cena”, di Giuseppe Manfridi, con Andrea Tidona, regia di Walter Manfrè: Ventisette spettatori accolti dal cameriere Fangio vengono fatti accomodare in un grande tavolo dove ad attenderli c’è il padrone di casa già seduto, Andrea Tidona. Protagonista insieme a Chiara Condrò, Stefano Skalkotos e Cristiano Marzio Penna. Nell’arco di una cena vissuta dagli spettatori in presa diretta giocheranno una partita estrema, spettacolare e sconvolgente. E dire che avrebbe dovuto essere “una cena tranquilla”, come dichiara al servo Fangio il padrone di casa, apprestandosi a rivedere dopo sei anni sua figlia e a conoscere il ragazzo che lei ha scelto di sposare. Ma troppi misteri avvincono i commensali: a ogni pietanza si troveranno sempre più coinvolti in una tensione insostenibile;
“Cara professoressa” di Ljudmila Razumovskaja, con Alessandra Cacialli, regia Romani Bernardi : la pièce è ambientata negli ultimi anni dell’impero sovietico, quando, nel disastro generale, soffiavano nel vento gli echi dei Tempi Nuovi, in onore dei quali i ragazzi speravano di vedere realizzati i loro sogni. I maschi volevano diventare gangsters, le femmine puttane d’alto bordo. Così, grazie alle televisioni europee e americane che finalmente arrivavano, questi erano i loro Sogni d’Occidente. E non sarà necessario, credo, svelare troppo la portata metaforica di questa storia: anche noi, adesso finalmente, siamo alla fine del nostro impero, i Tempi Nuovi sono nel vento e i nostri sogni si sono fatti incubi. I gangsters governano il Mondo e tutti noi siamo divenuti le loro puttane. Morale della favola: c’è una salvezza? La Razumovskaja sembra dire di no: se c’è, è nei singoli cuori, ma per essi l’unica speranza di riscatto (come per la Professoressa) o di risveglio dell’anima (come per i piccoli Vitja e Ljalja) consiste in una specie di martirio. Ma al tempo stesso l’autrice scrive una commedia piccola e gentile che vorrebbe osare una sfida critica non solo al comunismo, ma alla crudeltà di tutti i poteri del Mondo;
“Addio vecchio Sangiorgi” è uno spettacolo di varietà e avanspettacolo che rende omaggio alle origini della sala Liberty. Ne sono interpreti principali Tuccio Musumeci e Dodo Gagliarde, con l’intervento del musicista Nino Lombardo. La regia è di Gianni Salvo.