Uno spettacolo di profonda analisi e di studio di un determinato aspetto del mondo femminile, dei valori o dell’assenza di questi nella famiglia e dei suoi fallimenti, della separazione dell’elemento maschile per sconfinare in un nuovo territorio, in un nuovo amore. Un lavoro in cui provocazione ed oppressione destabilizzante vanno a braccetto. Ci riferiamo alla nuova pièce di Salvo Gennuso, “Un amore di famiglia”, produzione Statale 114, proposta al Centro Zo di Catania, nell’ambito della rassegna “AltreScene”. La pièce di Salvo Gennuso, con due sole attrici protagoniste, si muove nei meandri angosciosi, problematici di un terreno dai mille significati come l’universo femminile, la famiglia o la solitudine di una vita deviata e segnata dal valore del sangue che ti porta inevitabilmente ad uno sconfinamento.

Nella foto le due interpreti
In circa 80 minuti, il pubblico si trova immerso in un ambiente volutamente buio, con pochi oggetti scenici curati da Salvo Pappalardo, su un impianto scenografico freddo ed essenziale curato dallo stesso autore e regista e dove, dall’inizio alla fine, tra due sedie, il contributo di video e foto, si muovono due presenze femminili. Le protagoniste sono infatti la rossa Anna/Emma, medico dal carattere deciso e sempre arrabbiata con la vita e Maria, più disponibile, ma anch’essa discontinua, insoddisfatta. Delle due donne via via la pièce fa scoprire caratteristiche, differenze, solitudini ataviche, problematiche e gusti sessuali (Anna/Emma ama gli uomini, si fa beffa di loro, ma non condanna o esclude altre esperienze, Maria, invece, delusa dagli uomini maldestri incontrati e frequentati, è lesbica). Anna è stata abbandonata dai veri genitori ed è cresciuta in una famiglia adottiva con una scapestrata sorella e nutre un profondo odio per la madre che l’ha messa al mondo e non l’ha voluta così come per il padre, mentre Maria da giovane, con uno dei suoi abituali frequentatori, è rimasta incinta, ma non ha voluto tenere la piccola, continuando così la sua vita da sola.
Tra il cerimoniale di gesti ripetitivi, oggetti che riguardano le loro vite presenti e passate ed il trascorrere del tempo, lo spettacolo mette a nudo le personalità delle due donne, i loro segreti più intimi, fino a ritrovarsi in due spazi diversi ed opposti, a frequentarsi ed, alla fine, a riconoscersi ed amarsi sotto lo sguardo del pubblico, in una sorte di incesto-trasgressione, sotto un cellophane trasparente. Ad interrompere, però, il loro rapporto è il regista che, nel voler tenere ben saldo il comando della storia, nei panni di una sorta di Edipo, entra armato in scena e prima uccide le due donne, madre e figlia che si stanno amando e poi punta la pistola e spara agli ignavi spettatori, colpevoli di avere concesso l’atto d’amore tra consanguinei.
Nei difficili ruoli di Anna/Emma e di Maria si disimpegnano Roberta Raciti ed Elaine Bonsangue, abili a tratteggiare i caratteri, le inclinazioni, le ossessioni delle due protagoniste della vicenda. La regia è dello stesso Salvo Gennuso, collaborato da Sade Patti, mentre la regia luci è di Segolene Le Contellec. Pubblico intrigato, a volte frastornato dai vari passaggi della pièce, ma che alla fine ha tributato ad autore ed interpreti i doverosi applausi per l’impegno profuso durante l’impegnativa rappresentazione.