Mancano solo due giorni al debutto alla Sala Giuseppe Di Martino di Catania, in via Caronda 82, dellla nuova produzione del Centro teatrale Fabbricateatro, ovvero “Alla fine del tempo”, liberamente tratta da un racconto di Antonio Tabucchi, drammaturgia e regia di Elio Gimbo. Anche stavolta il regista catanese parte da alcune riflessioni/sollecitazioni e punta a sollecitare l’attenzione del pubblico, su un argomento molto dibattuto, da sempre.

Cartolina spettacolo “Alla fine del tempo”
L’atto unico, che vedrà in scena Cosimo Coltraro (nel ruolo cardine di Enrico), Puccio Castrogiovanni e Sabrina Tellico, come i recenti lavori di Fabbricateatro, “Discorso su noi italiani” e “Il Principe”, parte come un enigma da risolvere, con una domanda personale del regista all’inizio del lavoro. Le domande del regista stavolta sono: cosa succede nella nostra coscienza dopo la morte? Ritroviamo noi stessi? Rivediamo il nostro passato? Compiamo un ultimo e definitivo bilancio di chi siamo stati?

Il gruppo di lavoro di “Alla fine del tempo”
Lo spettacolo debutterà alla Sala Di Martino il 25 Novembre, alle ore 20.30 e verrà replicato il 26, 29, 30 Novembre e il 2, 3, 5 e 6 Dicembre 2017 (Orari feriali ore 20,30 – Domeniche ore 18,30). Assistente alla regia Angela Tinè, disegno luci Elvio Amaniera, scena Bernardo Perrone, costumi Fabbricateatro, organizzazione Daniele Scalia. Ingresso: € 10,00 intero – Ridotto: € 8,00 – Info e prenotazioni 347.3637379.
Ma da dove è partito il regista Elio Gimbo per arrivare alla messa in scena, da dove prende origine “Alla fine del tempo”? A rispondere è lo stesso Elio Gimbo che ci spiega come è partita l’operazione e la nuova produzione di Fabbricateatro che, ricordiamo, ha la residenza artistica nella Sala Giuseppe Di Martino.
“Quando lo scorso anno l’attore ed amico Cosimo Coltraro – spiega Gimbo – mi presentò “I dialoghi mancati” di Antonio Tabucchi, manifestandomi il desiderio di interpretarne uno, non avevo una chiave precisa per una interessante messa in scena, sapevo solo che lo sfogo di Enrico (personaggio centrale della vicenda) non poteva indirizzarsi realmente al cadavere ancora caldo del fratello, ma occorreva rimescolare il mazzo di carte. Lo spunto decisivo mi arrivò dalla lettura di un articolo circa un esperimento di alcuni ricercatori universitari del Michigan e che comprovava una straordinaria attività cerebrale immediatamente seguente la morte cardiaca: il nostro cervello per molti secondi, forse minuti, produce un ultimo fuoco d’artificio. Che sia quella l’eternità, ho pensato, per la nostra coscienza? Forse l’ultima immagine in cui l’Io si fissa definitivamente”.

Puccio Castrogiovanni
“Tu credi all’Aldilà?” – è la domanda che l’amico Francesco Prinzivalli mi formulò a bruciapelo e che riportò a galla il racconto di Tabucchi- “Non come realtà oggettiva, ma è possibile che il cervello regali un ultimo incontro definitivo alla nostra coscienza” -fu la mia risposta e citai l’esperimento universitario- e il mio amico: “Se è così, quando accadrà, spero di incontrare mia figlia” – “ Sarà così Francesco, e dopo sarà lei che guiderà te come un bambino, il suo papà-bambino.” Avevamo così costruito un’immagine. Questi due episodi raccontano l’origine di questo spettacolo nella mia biografia personale. Immediatamente dopo la morte immagino per ognuno di noi uno smarrimento simile a quello dei bambini e, in una luce accecante di una scena finalmente pura, l’avanzare di figure accoglienti che ci conducono per mano verso una nuova condizione. Questa è la veste che ho cucito per il nuovo spettacolo di Fabbricateatro. A benedire il tutto è arrivata, ad aggiungersi alla presenza di Cosimo e Sabrina, quella di Puccio Castrogiovanni per cui l’amicizia che nutro è pari solo alla stima come artista. Chi è Puccio nello spettacolo? E’ il fratello morto che come Osiride risorge a nuova vita dopo lo smembramento del corpo? E’ Orfeo che col suo suono ci tira fuori dal buio? Attendo la risposta dalle repliche di questo spettacolo sul mistero della vita che ci attende quando non ci saremo più”.