Cultura

Il corpus delle 125 Omelie Cattedrali di Severo di Antiochia, patriarca della sede sul fiume Oronte dal 513 al 518, ne contiene soltanto una per la Domenica delle Palme, pronunciata il 31 marzo 513. Si tratta di un testo tipicamente severiano, dove il vescovo nell’omelia spiega la celebrazione della Domenica della Palme, messa quasi senza soluzione di continuità con il giorno della risurrezione di Lazzaro e con i giorni santi della passione, morte e risurrezione di Cristo, il Verbo di Dio incarnato: <<Quando il nostro Signore e Dio Gesù Cristo stava per essere consegnato volontariamente alla croce salvatrice… e farsi umile fino alla morte… dopo essere sceso fino a Betania, risuscitò Lazzaro, che era stato messo nella tomba da quattro giorni, spaccando la forza della morte che lui stesso doveva uccidere completamente quando discese lui stesso nello sceol e liberare le anime ivi rinchiuse. Per questo disse: «Lazzaro, il nostro amico, dorme e vado a svegliarlo». Quasi che dall’inizio dell’omelia, Severo volesse riassumere tutto il cammino delle celebrazioni liturgiche, dal giorno della risurrezione di Lazzaro, passando per l’ingresso a Gerusalemme, fino alla croce e alla discesa di Cristo negli inferi. L’ingresso di Gesù nella città santa è per il patriarca una manifestazione della sua divinità ed una prefigurazione della sua seconda venuta: <<E Gesù, che sapeva quello che doveva capitare, cioè che i bambini e la folla gli andavano all’incontro, fece in modo che fosse un ingresso degno di Dio e allo stesso tempo simbolico, poiché diventava per noi prefigurazione della sua seconda venuta nella gloria… e così rivelava la sua divinità…>>. E l’esegesi di Severo, in questo caso ed in altri passi del vangelo, mette fortemente in evidenza la manifestazione della vera divinità e umanità di Cristo.

Seguendo i diversi momenti della pericope evangelica dell’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme, Severo fa una lettura cristologica ed ecclesiologica del puledro e dell’asina su cui Cristo siede entrando a Gerusalemme. L’asino, tipo delle nazioni pagane chiamate alla fede, riceve su di sé i mantelli, cioè le dottrine degli apostoli e su di essi Cristo siede; quasi Severo volesse mettere in evidenza la predicazione di Cristo, fondata sempre sulla parola degli apostoli, dice: <<I discepoli di Cristo slegarono l’asinello e lo portarono al loro Signore, dopo aver messo su di lui i loro mantelli… E vedendo Gesù che questo era stato fatto, lui che è veramente il Dio dei grandi misteri, si assise sopra… Infatti quando i credenti si sono rivestiti delle virtù apostoliche come se fossero dei vestiti, come l’asinello stesso, e così tra di loro sono sorti dei dottori e dei martiri…, allora la grazia di Gesù o piuttosto Gesù stesso si è assiso su di loro, ha abitato in essi ed ha riposato su di essi, come anche siede sui cherubini, lui che è Santo e riposa sui santi>>. Quindi il patriarca si intrattiene a commentare il significato dei rami di ulivo tagliati dalla folla esultante, ed oltre ad indicare il fatto evidente della presenza di questi alberi nel monte che porta il loro nome, cioè degli Ulivi, qui Severo vi vede dei significati simbolici che commenta alla sua Comunità: <<Seduto (Cristo) sull’asinello, tipo dei popoli dei gentili che doveva credere in lui, una folla lo accompagnava … gettando al suo passaggio rami di ulivo e i loro vestiti, fatti che indicavano dei grandi misteri”. S noti qui l’attenta esegesi dei dettagli: ulivo, vestiti…

E, dopo un non breve “excursus” sul significato della parola «osanna» in ebraico e greco e sulla sua spiegazione cristologica cioè come acclamazione a Cristo vero Dio, Severo prosegue ancora: <<La pianta dell’ulivo indica la riconciliazione che viene da Dio, e la sua carità verso di noi che elargisce non a causa della nostra giustizia bensì a causa della sua misericordia. Allo stesso modo una colomba con un ramo di ulivo nel becco indicò la fine del diluvio nei giorni di Noè>>.

Severo commenta ancora l’aggiunta del vangelo di Giovanni: «Quando udirono che Gesù arrivava a Gerusalemme, presero rami di palma e uscirono al suo incontro» (Gv 12,12-13), e la vede come una particolarità giovannea piena di significati. Severo qui un commento simbolico dello stesso albero della palma, rigoglioso nella parte alta, slanciato verso l’alto, rude però nel tronco: <<La palma ci fa vedere che veniva dal cielo Colui che era osannato. È un albero infatti la cui parte superiore ha dei rami abbondanti e bianchi, mentre nella sua parte media ed inferiore è rude ed spinoso… slanciandosi sempre in alto. Così anche colui che si avvia alla conoscenza di Cristo troverà un cammino rude e difficile, ma quando arriverà all’altezza, in quanto è possibile agli uomini, troverà la luce della teologia e la rivelazione di cose ineffabili, come i rami di palma che sono bianchi. Per questo ancora la sposa del Cantico dei Cantici, che è la Chiesa di coloro che hanno creduto in Cristo, dice: «Io ho detto: Salirò sulla palma, afferrerò i rami più alti (Ct 7,9)». L’albero della palma quindi è presentato come tipo del cammino del cristiano nella conoscenza di Cristo. Quindi l’autore, avviandosi alla conclusione dell’omelia, commenta il brano del vangelo di Matteo della cacciata dei mercanti del tempio (Mt21,12-13); il luogo santo come casa di preghiera sottolineato dai testi veterotestamentari, assieme al gesto profetico di Cristo, mettono in evidenza l’unità dei due testamenti. E aggiunge ancora un commento alla citazione che le pericopi evangeliche fanno del Salmo 8: «O Signore, Signore nostro, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra! Con la bocca di bambini e di lattanti: hai posto una difesa contro i tuoi avversari»; la lode dei bambini all’ingresso di Cristo a Gerusalemme è una professione di fede in Colui che essendo grande ed eccelso si è umiliato e fatto piccolo. La conclusione dell’omelia ha un sapore chiaramente crisostomiano, quasi di applicazione pratica di tutto il testo commentato: <<E’ arrivato il momento di finire l’omelia, per non annoiarvi…- dice il Patriarca – Ma voi onorate il balbettio del parlare teologico dei bambini, non trascinandoli ai teatri o alle corse di cavalli, ma portandogli in chiesa e dicendo a Cristo, che è Dio e creatore di tutto:“Anche dalla bocca dei nostri bambini ti offriamo la nostra lode” (Mt 21,16)>>.

Diac. Sebastino Mangano

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