E’ ancora impegnata a teatro, nel ruolo di Beatrice, in “Il Berretto a sonagli” di Luigi Pirandello, con Gianfranco Jannuzzo ed è sempre alla ricerca di nuovi obiettivi e di realizzare nuovi progetti. Stiamo parlando dell’attrice Emanuela Muni, nativa di Modica, diplomata alla scuola di recitazione del Teatro Stabile di Catania nel 1985, dal 1995 anche attrice di cabaret (1999 Zelig di Milano) e protagonista anche al cinema ed in tv. Abbiamo voluto sentirla, parlare di lei e della sua attività in occasione del debutto, alla Sala Giuseppe Di Martino di Catania, il 16 Novembre, della pièce “Il Dottor Di Martino è desiderato al telefono”, da un racconto di Antonio Tabucchi, drammaturgia e regia di Elio Gimbo.

Emanuela Muni
Nella lunga chiacchierata Emanuela Muni parla della sua vita, della passione per il teatro, dell’incontro con il maestro Giuseppe Di Martino, dei suoi inizi, dei suoi compagni di corso, di Fabbricateatro e della Sala Di Martino a Catania, dei suoi impegni e dei suoi ruoli. Un incontro a 360° con una artista, con una attrice di talento che racconta particolari della sua vita con grande sincerità e passione, regalando così ai lettori il profilo di una donna, di una artista, di spessore e di grande temperamento.
Ci parli del suo lavoro, della sua attività e della sua Sicilia…
“Il mio lavoro è “La recitazione”, entrare nei sentimenti, nella psicologia, nel contenitore fisico e nelle esperienze di vita di qualcun altro e rappresentarlo all’interno di un racconto. La mia attività è approfondire quotidianamente ed acquisire i metodi per poter rendere questa rappresentazione sempre più ricca di dettagli e sempre più credibile, per convincere il pubblico di ciò che il mio personaggio è venuto a dirgli. La mia Sicilia è la mia famiglia, la mia terra, la mia casa…”.
Cosa le ha dato e cosa continua a darle la professione di attrice?
“Bisogna essere in palcoscenico a provare e sentire i sentimenti e i pensieri di qualcun altro fino in fondo e avere accanto una parete mancante che si spalanca verso tante persone che ti guardano, per saperlo. Le parole per descriverlo non ci sono”.
Cinema, tv, teatro, quale preferisce?
“Che domanda! “La parete mancante” che si spalanca verso l’umanità delle persone, lì, ora, insieme…”.

Emanuela Muni e Francesco Foti in “La vita che mi diedi” – Foto Dino Stornello
Come è nata la sua passione per il teatro e che genere di ruoli predilige interpretare in scena?
“Vengo da una famiglia semplice e numerosa, non potevo avere molte attenzioni dai miei genitori. Con i miei fratelli, da bambini, rappresentammo in casa una piccola scena teatrale. Subito dopo i miei genitori andarono in cucina a prendere dell’aranciata per festeggiare e casualmente sentii sussurrare da mio padre a mia madre che ero stata brava. Fu la prima volta in cui mi sentii attenzionata e apprezzata da mio padre. E la mia vita ha preso quella direzione. Non ci sono dei ruoli che prediligo. Lo stesso ruolo interpretato con metodi diversi può avere la mia esaltazione o la mia indifferenza. E’ ciò che crei che fa la differenza”.
Cosa prova, davanti al pubblico e cosa vuole oggi, secondo lei, lo spettatore dall’attore in scena?
“Cosa provo? Senso di responsabilità. Cosa vuole lo spettatore? Sarebbe meglio chiederlo a lui, ma, presumo, che venga a teatro per ascoltare e vedere quello che non sa”.
Dove va oggi il teatro e la nuova drammaturgia?
“In Italia, visti gli incassi, verso un muro. La nuova drammaturgia, cioè quella chiusa nei cassetti di quasi tutti gli autori e di quei pochi che vediamo rappresentati, mi sembra voler portare allo scoperto “il disagio” che vive la gente : disagio esistenziale, affettivo, sociale, culturale, umano”.

Emanuela Muni e Giuseppe Di Martino
Cosa ha rappresentato per lei l’incontro con il maestro Giuseppe Di Martino? Cosa ricorda di lui come maestro e come persona.
“L’ho conosciuto a 17 anni, avevo bisogno di una direzione, di un maestro. Incontrare i maestri nella vita è la più grande fortuna, se succede da giovani la fortuna è doppia. Il nostro legame mi permise di avere un maestro h. 24. Come maestro certamente lo rendeva unico la rara coesistenza di straordinaria cultura e formidabile intelligenza. Aveva una brillante fantasia ed era un autentico, vero, anticonformista. Tutto ciò rendeva il suo teatro in continua mutazione. Come persona lo ricordano tutti, nonostante siano passati 24 anni dalla sua morte, la sua intelligenza e la sua fortissima personalità incantava chiunque. Come marito? Pregi: il suo amore fragilissimo e travolgente. Difetti: gelosia ossessiva. Risultato: Marianna e Tommaso, i nostri figli, si dicono felici di essere figli di amore ed egoismo. E’ evidente che ci siamo molto amati e siamo stati molto egoisti per aver vissuto fino alla fine la nostra unione e aver voluto perfino due figli! Nonostante i 46 anni differenza d’età”.
Una Sala intitolata a Giuseppe Di Martino a Catania. Cosa ne avrebbe pensato il maestro e cosa ne pensa lei di questa iniziativa di Fabbricateatro?
“All’inizio del nostro incontro gli chiesi come mai un regista come lui, che aveva firmato regie nei più grandi teatri italiani e che aveva diretto ripetutamente i più grandi attori del tempo, si fosse chiuso in un teatro importante, lo Stabile di Catania, ma certamente di provincia e soprattutto si fosse dedicato principalmente alla scuola di recitazione e agli spettacoli della compagnia dei giovani. Mi rispose che erano almeno tre le generazioni che aveva formato e che avrebbero rappresentato, in futuro un discreto 10-20 % degli attori di domani, che avrebbero avuto la sua impronta, che avrebbero proseguito e sviluppato il suo “credo” teatrale. E lo diceva illuminato dalla convinzione che quello era il suo “grande successo”, molto di più dei grandi teatri e grandi attori. La Sala di Martino, credo, sia la concretizzazione di quella risposta che allora io non trovai esaustiva. Mi si perdonerà, avevo 18 anni!

Interno della Sala Di Martino
Io, di Fabbricateatro, penso sia un’infezione. Difficilmente guaribile, resistente agli antibiotici. E spero diventi un’epidemia che annienti il teatro superato”.
Esistono ancora i veri maestri oggi nelle scuole di teatro e cosa insegnava realmente Giuseppe Di Martino ai suoi allievi?
“Maestri nelle scuole di teatro? Sinceramente penso pochissimi. Come del resto gli spettatori a teatro. L’assenza di maestri di teatro e di spettatori a teatro credo siano proprio l’inizio e la fine di un processo puramente logico. Giuseppe Di Martino “realmente” insegnava ad ogni allievo ad esaltare le proprie caratteristiche personali, a tradurle in linguaggio artistico e come renderle funzionali alla messa in scena. Insomma insegnava ad ognuno di noi come essere “un attore unico”. Come del resto dimostrano le caleidoscopiche caratteristiche dei suoi ex allievi”.

1987-” I semi d’oro” – Deborah Bernardi, Emanuela Muni,Toni Lo Presti, Turi Giordano, Cinzia Insinga, Francesco Mirabella. (Ph. Dino Stornello)
Cosa ricorda delle sue esperienze teatrali a Catania, dei suoi compagni di corso, dei suoi colleghi nei vari spettacoli che l’hanno vista in scena?
“Catania fu un’isola teatrale felice per molti anni, io ebbi la fortuna di vivere in parte quel periodo, mi ricordo poco, perché si lavorava molto, per me era tutto nuovo, fu la mia preziosa e lunga gavetta. Un ricordo indelebile è quello di Turi Ferro, di cui seguivo avidamente le prove anche quando non ero in scena, durante “Il Consiglio d’Egitto” ,quasi a fine giornata, era stanco, si mise a recitare il suo monologo sottovoce, lo sentivo appena, ma giurerei di averlo visto volare. Ricordo con un brivido la reazione del pubblico alla prima di “Dossier droga” quando feci il monologo dello stupro alla Stazione Termini, mio marito venne dietro le quinte a indicarmi il minutaggio dell’applauso che ne seguì. Ricordo lo stupore di noi attori alla sua regia di “Fando e Lis”, immersi improvvisamente in un linguaggio espressionista e mi fermo qui. Le mie colleghe di corso….eravamo tutte donne! Che flash! Ovviamente pochissime di noi sono ancora attrici. In quegli anni ero molto introversa un po’ perché avevo 17 anni, le altre erano tutte più grandi e questo m’intimoriva, avevano già avuto esperienze teatrali, io no, oltretutto non ero neanche di Catania e per di più si sapeva già della mia relazione con “il maestro”. Insomma stavo molto per i fatti miei e mi concentravo ossessivamente sullo studio per mettermi in pari con le altre.
I miei colleghi catanesi? Magari ce ne fossero così tanti bravi come a Catania! Tuccio? Guia? Pippo? Anna? Fioretta? Romano? Mariella? Dove li trovi? Ma specialmente dove ne trovi tanti come a Catania?”.

Emanuela in famiglia…
Che consigli darebbe a chi vuole iniziare la professione di attore/attrice?
“Di dare la massima attenzione alla scelta di una scuola di recitazione. E’ il più importante investimento della vita di un attore”.
Chi è Emanuele Muni nella vita di tutti i giorni?
“Divido il mio tempo tra le preziose e illuminanti conversazioni con i miei figli, la cura del mio cane, delle mie piante e l’immersione costante in libri di approfondimento dei diversi metodi di recitazione. Libri che possono comunque aiutarmi alla comprensione dello spirito umano, dalla PNL a Osho, da Apollonio al prof. Nardone, dalla dinamica a spirale alla Batson”.
Quali ostacoli ha incontrato nell’intraprendere questo suo sogno d’attrice?
“Fare l’attrice non è un sogno, possono riuscirci tutti. Per fare l’attrice che abbia un senso, il “mio” senso, incontro molti ostacoli, perché il teatro, specie in Italia, è stato svuotato dalla responsabilità civile e intellettuale che è il mandato umano per cui è nato e per cui nonostante tutto continua a vivere. Il teatro, come ogni forma d’arte deve aiutare l’individuo a riflettere. E’ la cura delle menti”.

La Muni in “La figlia di Iorio” al Teatro Greco di Taormina
Una particolare soddisfazione o una delusione in questi anni di attività…
“Tonino Cervi disse a Tarak Ben Ammar (noto produttore internazionale) che voleva farmi fare la protagonista del film “Il quaderno della spesa”, Tarak gli disse (me presente) -:”Ma regalale piuttosto un anello…”. Dopo circa due anni Tarak vide la prima copia del film finito, eravamo a Parigi. Tarak disertò il primo gennaio un importante invito all’ultimo momento, per potersi complimentare personalmente in una cena improvvisata e darmi il suo contributo di apprezzamento, validato anche nel tempo. Anche Carlo Macchitella, allora direttore di Rai Cinema, mi telefonò dopo la proiezione privata, ricordo che stavo cucinando per la cena e mi disse di avere apprezzato molto la mia interpretazione, ma soprattutto di esserne rimasto sorpreso perché non era d’accordo che quel ruolo fosse dato a me. Sono soddisfazioni!
Giorgio Albertazzi, allora direttore artistico di Taormina Arte, era assolutamente contrario che mi fosse dato il ruolo della protagonista ne “La figlia di Jorio” e durante i primi dieci giorni di prove sfilavano quotidianamente le candidate che venivano dall’”alto” per avere quel ruolo. Il regista mi rassicurava dicendomi che quel ruolo se non l’avessi fatto io, non si sarebbe fatto lo spettacolo. Fu una prova di forza.

Emanuela Muni con Gianfranco Jannuzzo
Albertazzi venne alla prova generale, alla fine ebbe parole di apprezzamento per tutti, io sapevo quanto lui contestasse la mia “imposizione”, il regista, imbarazzato, alla fine gli chiese: ”E della nostra protagonista, non ci dici nulla?” Albertazzi, piccato, rispose: ”Cosa vuoi che ti dica? E’ talmente brava da fare schifo.” Difficile dimenticare…
Delusioni? Ogni qualvolta mi accorgo di partecipare ad un progetto che non dà nulla di nuovo al pubblico e a me. La missione di tutti noi è evolverci, ogni qualvolta non succede è una sconfitta, una delusione”.
A cosa sta lavorando al momento, quali i suoi prossimi impegni ed un sogno che vorrebbe realizzare…
“Sto ancora in tournèe con “Il Berretto a sonagli” insieme a Gianfranco Jannuzzo. Non ho impegni per il futuro e anche se li avessi non glieli direi, com’è consuetudine teatrale. Torni ad intervistarmi presto e ne sentirà delle belle! Non ho l’età per i sogni, ma per gli obiettivi, per i traguardi. Sono totalmente rivolta al passo successivo, alla realizzazione del nuovo, a quello che finora non c’era”.