Giacomo di Sarug, importante scrittore cristiano di lingua siriaca, nato intorno al 449 a Kurtam sulle rive dell’Eufrate, forse figlio di un presbitero, nel 466 andò a studiare nella famosa scuola teologico-esegetica di Edessa, detta “Scuola dei Persiani”, dove da più di un secolo era grandemente presente l’influsso del diacono Efrem di Nisibi (306-373), soprannominato “Cetra dello Spirito Santo”. Visse nel tempo delle controversie teologiche che seguirono il concilio di Calcedonia (451) ma, per il suo temperamento pacifico e apostolico, rifuggì dalle polemiche che agitarono i suoi contemporanei e, di fronte alle dispute, desiderò soltanto adorare il mistero nello stupore, nel rispetto e nel silenzio.
Giacomo, che fu monaco, a 22 anni fu sottoposto ad un esame da cinque vescovi che volevano accertarsi della sua ortodossia, fu poi sacerdote per la Chiesa di Sarug e periodeuta, cioè visitatore ecclesiastico. Nel 519 fu eletto vescovo della principale città della regione, Batna da Sarug (oggi Tell-Batnan), ma diede le dimissioni un anno più tardi per una ragione a noi sconosciuta.
Da una sua lettera del 519 a Paolo, metropolita di Edessa, e da altre sue lettere ai monaci del monastero di Mar Bassus, sappiamo che egli fu di sensibilità miofisita, cioè di quella dottrina cristologica che sosteneva che in Cristo Gesù c’era una sola natura formata dall’unione della divinità e dell’umanità, fuse ed inseparabili. Giacomo non approvava neppure il Simbolo proclamato dal Concilio di Calcedonia che, secondo i Padri conciliari, in Cristo, <<Figlio, Signore, Unigenito (del Padre), sono riconosciute due nature, senza confusione, senza cambiamento, senza divisione, senza separazione>>. Tuttavia sembra che si fosse tenuto molto in disparte dalla controversia, pur opponendosi all’insegnamento di Teodoro di Mopsuestia (n. 350 ca), la cui dottrina fu coinvolta nelle controversie nestoriane e monofisite. Teodoro però morì nel 428 a Mopsuestia, in pace con la Chiesa e con i maggiori rappresentati del tempo come Giovanni Crisostomo (344/354 –407), Cirillo di Alessandria (370 ca. – 444) e Gregorio di Nazianzo (329-309) che non lo accusarono di errore.
Giacomo diede il massimo della sua attività al momento in cui avvenne l’invasione lanciata da Kavadh I, re persiano dei Sasanidi, contro l’impero Romano d’Oriente nell’ottobre del 502 e, in seguito alla quale, fu conquistata Amida (oggi Diyarbakir), il 10 gennaio del 503, dopo tre mesi di assedio. Gli abitanti della città furono uccisi o portati prigionieri. Per questo motivo i superstiti, secondo il racconto della Cronaca di Giosuè lo Stilita, redatta tra il 494-506 d.C., progettarono di riparare ad ovest dell’Eufrate: <<L’onorato Giacomo, il periodeuta (visitatore ecclesiastico), che ha composto numerose omelie su dei passaggi delle Scritture, scrisse vari poemi e inni sui tempi delle cavallette, non trascurò nemmeno il suo dovere del periodo, e scrisse lettere di avvertimento a tutte le città, incitandole ad avere fiducia nella divina Provvidenza ed esortandole a non fuggire>>.
Giacomo è autore di lettere e di un gran numero di omelie anche in versi, dette “Mimra”, che furono integrati nell’Ufficio della Liturgia siriaca. Proprio queste omelie gli hanno meritato il titolo di “Arpa della Chiesa” e di “Flauto dello Spirito Santo”.

Su Giacomo di Sarug possediamo tre Vite in siriaco: una di Giacobbe di Edessa (640 ca. – 708), una di un certo Giorgio di Sarug, forse contemporaneo di Giacomo ed una terza anonima. L’opera dello stesso Giacomo ci fornisce informazioni sugli ultimi venti anni della sua vita, ma quasi niente sulle sue origini e i suoi antecedenti. Dalle varie biografie esistenti e dalle sue stesse opere, si desume che la sua attività letteraria fosse incessante. Secondo lo storico Gregorio Barebreo (1226-1286), vescovo della Chiesa ortodossa siriaca e dal 1264 anche Catholicos, ci volevano 70 amanuensi e un anno di lavoro per trascrivere tutti i suoi testi (Chron. Eccles. i.191). La parte principale della sua opera consiste, secondo Gregorio Barebreo, in una raccolta di 763 omelie in versi dodecasillabi, delle quali poco più della metà sono sopravvissute (ca. 400); 233 sono custodite nei manoscritti della Biblioteca Apostolica Vaticana, 140 nei manoscritti della British Library di Londra; circa. 100 nei manoscritti della Bibliothèque Nationale de France a Parigi. Consistono in serie più o meno lunghe di stanze di quattro versi di dodici sillabe, una forma poetica che fu denominata sarugiana. In media ogni omelia comprende parecchie decine di stanze, che equivalgono a parecchie centinaia di versi.
Questa opera immensa non fu realizzata da una sola persona: sempre secondo Barebreo, impiegò fino a 70 segretari che lo aiutarono perfino ad analizzare i testi biblici e le Vite dei santi per accrescere i suoi testi. Compose i primi, sulla “Visione del “carro del Signore” di Ezechiele, a 22 anni; mentre gli ultimi, sul Golgota, rimasero incompiuti; dunque la sua produzione venne distribuita nell’arco di mezzo secolo. La Cronaca di Giosuè indica che queste poesie divennero rapidamente celebri. Utilizzati nella liturgia, sono stati forse alterati in seguito. Cinque volumi di Homiliae selectae sono stati pubblicati dal presbitero persiano Paul Bedjan (1838-1929), studioso della Chiesa cattolica caldea, che comprendono 200 poesie; un sesto volume è stato aggiunto dall’orientalista e accademico britannico Sebastian Brock (1938) in una nuova edizione più recente, arrivando ad un totale di 100.000 versi secondo l’editore. Ma una parte importante dell’opera è ancora inedita. Un gran numero di queste omelie sono dedicate alla Vergine Maria. A Giacomo sono attribuite anche due anafore (Canone della Messa), ed un rituale del battesimo; ma la loro autenticità è dubbia, per lo meno nella forma con la quale ci sono state tramandate. La sua opera in prosa, meno importante, comprende 43 lettere e 11 omelie, che corrispondono alle feste del calendario liturgico.
In questa Omelia festale sulla Natività, Giacomo esorta la sua comunità a lodare e glorificare Dio sull’esempio delle schiere degli angeli: <<Oggi in Betlemme, viene cantato dagli angeli: a Dio nell’alto la gloria a lui dovuta, sulla terra pace di cui essa ha bisogno, e agli uomini la buona speranza che a loro mancava (9). Questa è la festa ricca, che dappertutto distribuisce e dona con saggezza tutte le ricchezze. Questo è il canto che dà a Dio gloria, alla terra pace e agli uomini la speranza. Questo è il canto pieno di meraviglie, in cui risuonano i canti di lode… e si sente il grido di giubilo delle schiere celesti, che acclamano… il Signore… a cui piacque diventare simile agli esseri terreni (10). Oggi un germoglio è spuntato dalla radice della casa di Jesse, per fare da bastone al mondo invecchiato, perché questo vi si appoggi (11). Oggi è stata aperta la bocca di Eva, affinché annunziasse a voce alta che la sua colpa è stata perdonata grazie alla seconda Vergine che ha pagato il debito dei suoi padri con il prezioso tesoro che ha partorito per le creature (12).Oggi il serpente deve tacere, perché parla Gabriele; la menzogna deve scomparire, perché viene esposta la verità; e passi ciò che è vecchio, perché tutto è stato rinnovato dal parto della Vergine (13).

Oggi la mano del cherubino deve abbandonare e lasciare la lancia di fuoco, perché l’Albero della vita non deve essere custodito, ora che il suo Frutto è stato posto nella mangiatoia per essere il cibo degli uomini che di propria volontà erano diventati simili agli animali (14) … Oggi Isaia suonerà sulla sua cetra e farà vibrare le sue corde della sua rivelazione nello Spirito, non dicendo: “Ecco, la Vergine concepirà e partorirà” (Is 7,14), ma: “Ecco la Vergine ha concepito e partorito, come io avevo annunziato”. E d’ora in poi la testimonianza sarà resa manifesta e la Legge sigillata, poiché il segreto dei misteri è venuto alla luce (18). Oggi la grotta è diventata una stanza nuziale per quello Sposo celeste che ha voluto unirsi alla stirpe degli esseri terrestri e li ha voluto sostenere nella loro ascensione dalle profondità alle altezze (19). Oggi è stata chiaramente spiegata la rivelazione di Giacobbe: il Signore che stava in cima alla scala, è disceso per portare in cielo gli uomini (20).
Oggi l’Aurora si è levata dalla grotta e il grande Sole dal cavo della spelonca per illuminare con il suo fulgore le profondità sotterranee, luogo che per il sole non è facile illuminare! (21).Oggi l’ombra è tornata indietro (Cfr. Is 38,8)…affinché fosse glorificato… il vero Giorno che, con la sua luce, scacciò e soffocò le ombre del peccato (22).Oggi è nato il Bambino che fu generato dal suo Padre, in modo incomprensibile alla mente, prima che esistesse il mondo (23)…Oggi Giuseppe si stupisce e Maria si meraviglia… il Signore del cielo è in una grotta, il Fuoco avvolto in fasce, la Fiamma che poppa il latte, l’Ardore carezzato che viene portato dai cherubini, ora preso nelle braccia…(28).Oggi la schiera ardente di Gabriele fa risuonare la schiera della Chiesa che prega dicendo: Gloria a Dio nell’alto, sulla terra armonia e buona speranza per gli uomini (29 )… Oggi venne estirpata dalla terra la maledizione, poiché è stata riaperta la strada del paradiso… oggi gloria a Dio nell’alto, gloria a Dio dalle profondità, gloria a Dio in terra che viene dal cielo poiché… tutto è stato benedetto e tutto è stato salvato… Amen (32) >> (Giacomo di Sarug, dall’Omelia Festale sulla Natività).
Giacomo di Sarug morì il 29 novembre del 521 dopo solo due anni e mezzo di episcopato. Fu sepolto a Sarug, ma più tardi le sue spoglie furono portate nella chiesa siro-ortodossa di Santa Maria a Diyarbakır in Turchia dove sono venerate insieme a quelle dell’apostolo Tommaso.
Giacomo di Sarug è venerato come santo dalla Chiesa Ortodossa Siriaca, dalla Chiesa Maronita e dalla Chiesa Cattolica. Nel Martirologio romano al 29 novembre è scritto: «A Batnan nella provincia dell’Osroene, nell’odierna Turchia, san Giacomo, vescovo di Sarug, che illuminò di purissima fede questa Chiesa con discorsi, omelie e traduzioni ed è venerato tra i Siri insieme a sant’Efrem come dottore e colonna della Chiesa>>.
Diac. Dott. Sebastiano Mangano
Già Cultore di Letteratura Cristiana Antica nella Facoltà di Lettere dell’’Università di Catania