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Girolamo di Stridone (342-429)  nel suo  De viris illustribus, scritto a Betlemme nel 392, così presenta <<Efrem, diacono della Chiesa di Edessa,  (che) compose molti scritti nella lingua siriaca e raggiunse un tale prestigio che in certe chiese, dopo la Bibbia si leggevano pubblicamente le sue opere. Ho letto in greco la sua opera Sullo Spirito Santo, tradotta dal siriaco, ed anche solo nella versione ho potuto ammirare l’acutezza e la sublimità del suo ingegno. Efrem morì sotto l’imperatore Valente>>(Cap. CXV).

Efrem il Siro

Efrem nacque a Nisibi in Mesopotamia, a nord-ovest dell’odierna Mossul, oggi Nusay-bin in Turchia, presso il confine con la Siria orientale, all’inizio dell’impero di Costantino il Grande, probabilmente verso il 306.

La sua biografia ci è nota da parecchie fonti: il suo Testamento, sostanzialmente autentico, gli Atti siriani, il Chronicon Edesseum, una biografia di un anonimo  greco, l’Elogio, attribuito a Gregorio di Nissa, ma pieno di particolari leggendari.

Secondo alcune fonti Efrem nacque da genitori cristiani, secondo altre, invece, da madre cristiana e da padre sacerdote pagano del dio Abnil a Nisiba; è noto che Efrem, battezzato a 18 anni, fu ordinato diacono da uno dei “Padri” del concilio di Nicea (325), il suo amico e maestro Giacomo, santo vescovo di Nisibi (303-338).

I biografi sono concordi nell’attribuire al diacono Efrem una parte molto importante nell’eroica resistenza opposta dalla città di Nisibi al triplice assedio, nel 338, nel 346 e nel 350, a cui fu sottoposta senza successo da Sapore II, re dei Persiani, il quale, nel 363, a conclusione della sfortunata campagna partica condotta dall’imperatore Giuliano (331-363), la città fu ceduta dal suo successore, l’imperatore  Gioviano (331 – 364) ai Persiani, cosicché quasi tutti gli abitanti fuggirono in parte ad Amida (oggi Diyarbekir) e in parte ad Edessa, tra questi ultimi c’era anche Efrem, che in questa città costituì il primo nucleo della scuola di Edessa, detta poi <<scuola dei persiani>>, già iniziata a Nisibi, dove veniva insegnato a leggere, a scrivere, a cantare e a commentare  la Sacra Scrittura.

 

Efrem, che coltivò la perfezione religiosa, molto probabilmente, almeno per certi periodi, si ritirò a vita monastica; il suo programma era quello di unire la vita contemplativa con l’azione pastorale. Egli, che testimoniò la sua diaconia dedicando tutta la vita alla predicazione, all’insegnamento e alle controversie teologiche, nel 372, in occasione di una grande carestia che si abbatté su Edessa, come diacono, fu incaricato di organizzare i soccorsi nella città in cui un anno dopo, vittima del contagio contratto curando gli ammalati di peste, morì il 9 giugno del 373, sotto l’imperatore Valente (364-378).

Icona della Madonna di Valverde, Catania 1038

La fama del diacono Efrem, che fu il più importante rappresentante del cristianesimo di lingua siriana, subito dopo la sua morte fu così grande che i suoi versi furono tradotti in greco e letti, come scrive Girolamo nel De viris illustribus, “dopo la lettura della Bibbia”. Lo storico Sozomeno (400 ca.-450 ca.) ritiene che Efrem abbia superato gli stessi Padri greci nell’eleganza dello stile e nella profondità del pensiero (Hist. eccl., III, 16: PG 67,1085-1093),  infatti era riuscito a conciliare in modo unico la vocazione del teologo e quella del poeta.

La sua operosità come scrittore fu assai vasta; la sua esegesi, più vicina alla scuola antiochena che a quella alessandrina, si attenne generalmente al senso letterale e storico, senza rinunciare però totalmente all’interpretazione allegorica. Come esegeta,  scrisse molti commentari biblici, purtroppo quasi tutti perduti nella lingua originale, la siriaca, all’infuori dei commenti alla Genesi e all’Esodo. In versione armena rimane il commento agli Atti degli Apostoli e alle Epistole di san Paolo. Una attenzione particolare merita il suo commento al Diatesseron di Taziano il Siro (120-180), il titolo infatti che ha un significato matematico musicale, rende il senso di <<armonia di quarta>> per indicare la concordanza dei quattro Vangeli secondo un’unica forma unitaria, esso era divenuto il testo ufficiale del vangelo della chiesa di Edessa; il commento di Efrem, nella versione armena è conservato per intero (Cfr. F. Bolgiani, s. v.  Diatessaron, in DPAC, I, 495). L’esegesi di Efrem, che prima di tutto è letterale, tipologica e parenetica, vuole superare la lettera per coglierne lo spirito, cioè quello che egli chiama <<il senso profondo>>.

            Tra i suoi scritti di natura dogmatica ricordiamo i 56 inni e i 3 trattati in prosa Contra haereses, gli 87 inni e i discorsi De fide, i 7 discorsi De margarita, i 4 De libero arbitrio, i 15 inni De paradiso.

            Come polemista, egli combatte soprattutto il manicheismo, il marcionismo e gli ariani, contro i quali scrisse 80 inni. Ma è alla sua produzione poetica che è legato il suo nome; egli è autore di un numero, quasi illimitato, di omelie metriche e di liriche destinate al canto. Quello che altri Padri avevano scritto in prosa, in lui prese forma e struttura poetica: perfino argomenti polemici, come i 4 Inni contro l’imperatore Giuliano l’Apostata (331-363)  e contro gli eretici, vennero espressi in poesia.

            Per importanza particolare ed anche storica, dovranno essere menzionati i 77 Carmina Nisibena,  che cantano la gloriosa resistenza e le sofferenze della città durante le guerre persiane e l’odio dei cristiani contro l’imperatore apostata, Giuliano; questi Carmina venivano eseguiti da due cori.

Tra gli scritti parenetici ed ascetici vanno ricordati: 76 Adhortationes ad poenitentiam, 18 discorsi De diversis, 12 inni De ieiunio, 52 inni De virginitate et de mysteriis D. N. Jesu Christi, 52 inni De ecclesia, gli inni su Abramo di Kidun e Giuliano Saba. Numerosissimi sono anche gli inni di carattere liturgico: 16 De nativitate, in cui è celebrata la Vergine Maria in modo particolare, 3 De miraculis Christi, 21 De azymis, 8 De crucifixione, 4 De resurrectione, etc…

La dottrina di Efrem segue il cammino dettato dall’ortodossia, anche se nel suo stile si potrà osservare qualche volta la mancanza di termini teologicamente esatti e precisi, poiché la sua stessa indole poetica non glielo consente, ed egli procede più per immagini che non per definizioni dogmatiche. Il suo pensiero, genuinamente fedele alle verità teologiche, è teso a dimostrare che Cristo è il centro della Scrittura, della creazione e della storia.  Nella sua dottrina mariologica, egli, per primo tra i Padri, afferma la totale verginità di Maria prima, durante e dopo il parto, precorrendo la proclamazione  dogmatica dell’Immacolata Concezione (Pio IX, 8 dicembre 1854), tanto da meritare il titolo di Doctor Marianus.

Il diacono Efrem ha voluto mettere in poesia anche alcuni inni sulla Natività di Cristo Gesù:

Mosaico dell’XI sec. raffigurante Efrem il Siro. Chiesa del Monastero Nea Moní, isola di Chio, Grecia

 

<<Questa è notte di riconciliazione, non vi sia chi è adirato o rabbuiato. In questa notte, che tutto acquieta, non vi sia chi minaccia o strepita. Questa è la notte del Mite, nessuno sia amaro o duro. In questa notte dell’Umile non vi sia altezzoso o borioso. In questo giorno di perdono non vendichiamo le offese. In questo giorno di gioie non distribuiamo dolori. In questo giorno mite non siamo violenti. In questo giorno quieto non siamo irritabili. In questo giorno della venuta di Dio presso i peccatori, non si esalti, nella propria mente, il giusto sul peccatore. In questo giorno della venuta del Signore dell’universo presso i servi, anche i signori si chinino amorevolmente verso i propri servi. In questo giorno, nel quale si è fatto povero per noi il Ricco anche il ricco renda partecipe il povero della sua tavola. Oggi si è impressa La divinità nell’umanità, affinché anche l’umanità fosse intagliata nel sigillo della divinità>> (I Inno sulla Natività,1,88-95.99).

<<Benedetto il bimbo, che oggi ha fatto esultare Betlemme. Benedetto l’infante che oggi ha ringiovanito l’umanità. Benedetto il frutto, che ha chinato se stesso verso la nostra fame… Benedetto colui che è stato piegato dalla sua misericordia a prendersi cura della nostra infermità. Siano rese grazie alla fonte inviata per la nostra propiziazione. Siano rese grazie a colui che congedò il sabato compiendolo. Siano rese grazie a colui che sgridò la lebbra, ed essa non [poté] rimanere. Anche la febbre lo vide e fuggì. Siano rese grazie al clemente che ha portato la nostra pena. Gloria alla tua venuta che ha riportato alla vita gli uomini . <<Gloria a Colui che è venuto presso di noi mediante il suo primogenito. Gloria a quel Silente che ha parlato mediante la sua voce. Gloria a quel Sublime divenuto visibile mediante il suo Levante. Gloria a quello Spirituale compiaciutosi che divenisse corpo il proprio figlio, affinché, mediante esso, la sua potenza divenisse tangibile, e potessero vivere, grazie a quel corpo, i corpi della sua stessa stirpe. Gloria a quell’Invisibile il cui figlio divenne visibile. Gloria a quel Vivente il cui figlio morì. Gloria a quel Grande il cui figlio scese e si rimpicciolì. Gloria a quella potenza [divina] che si è modellata una figura della propria maestà e un’immagine della propria invisibilità. Con l’occhio e l’intelletto, con entrambi lo vediamo>>. Gloria a quell’invisibile che persino con l’intelletto non può essere minimamente toccato da quelli che lo vogliono scrutare, e fu toccato, per sua grazia, in virtù della [sua] umanità. La natura che mai fu palpata, fu legata e avvinta per le mani, trafitta e crocifissa per i piedi. Di sua propria volontà prese un corpo per coloro che lo afferrarono. <<Benedetto, lui che la [nostra] libertà ha potuto crocifiggere poiché egli gliel’ha concesso. Benedetto, lui che anche il legno ha potuto portare perché egli gliel’ha permesso. Benedetto, lui che anche il sepolcro ha potuto rinchiudere perché egli si è circoscritto Benedetto, lui la cui volontà ha condotto all’utero e alla nascita, al seno e alla crescita. Benedetto, lui le cui trasformazioni hanno dato vita a noi uomini>>.

 <<Benedetto, lui che ha segnato la nostra anima, l’ha adornata e l’ha sposata a sé. Benedetto, lui che ha fatto del nostro corpo una tenda della sua invisibilità. Benedetto, lui che nella nostra lingua ha tradotto i suoi segreti. Siano rese grazie a quella voce, di cui è cantata la gloria sulla nostra cetra, e la potenza sulla nostra arpa I popoli si sono radunati e sono venuti ad ascoltare i suoi canti>>.

 <<Gloria al figlio del Buono, disprezzato dai figli del maligno. Gloria al figlio del Giusto, crocifisso dai figli dell’empio. Gloria a colui che ci ha slegati ed è stato legato al nostro posto. Gloria a colui che si è fatto garante [per noi] e poi ha pagato il debito. Gloria al bello che ci ha modellati a sua somiglianza. Gloria al limpido che non ha guardato alle nostre macchie…Gloria a colui che mai poté essere misurato da noi. Il nostro cuore è troppo piccolo per lui, e debole anche la nostra mente. La nostra piccolezza è disorientata dalla ricchezza dei suoi discernimenti. Gloria a colui che sa tutto, e che si è sottomesso a domandare, per ascoltare e apprendere ciò che [già] sapeva, per rivelare, con le sue domande, il tesoro dei suoi benefici… Benedetto il pastore divenuto Agnello per la nostra propiziazione. Benedetto il tralcio divenuto coppa della nostra salvezza. Benedetto il grappolo, fonte del farmaco della vita. Benedetto anche l’agricoltore, lui che divenne il chicco seminato e il covone mietuto, l’architetto fattosi torre del nostro rifugio…Rendiamo grazie a colui che fu colpito e che ci ha salvati per mezzo delle sue ferite. Rendiamo grazie a colui che ha tolto la maledizione mediante le sue spine. Rendiamo grazie a colui che ha fatto morire la morte mediante la propria morte. Rendiamo grazie a colui che tacendo ci ha fatto vincere in giudizio. Rendiamo grazie a colui che ha gridato nella morte che ci aveva inghiottito. Sia benedetto, lui i cui benefici hanno ridotto a nulla la sinistra. Glorifichiamo colui che ha vegliato e ha fatto addormentare il nostro predatore. Glorifichiamo colui che si è addormentato e ha cacciato via il nostro torpore. Gloria a Dio, medico della natura umana. Gloria a colui che, battezzato, ha sprofondato la nostra iniquità nell’abisso e annegato chi ci annegava. Diamo gloria con ogni bocca al Signore di ogni risorsa>> (III Inno sulla Natività, 1-8.9.15.18-19).

Siliqua di Gioviano (363 ca.) che celebra il suo quinto anno di regno come buon presagio.
Gioviano, però, regnò solamente otto mesi

Nel Martirologio Romano il Santo Diacono è così ricordato: <<Sant’Efrem, diacono e dottore della Chiesa, che dapprima in patria a Nibisi esercitò il ministero della predicazione e dell’insegnamento della sacra dottrina, poi, rifugiatosi ad Edessa nell’Osroene con i suoi discepoli dopo l’invasione di Nisibi da parte dei Persiani, pose le fondamenta di una scuola teologica. Esercitò il suo ministero con la parola e con gli scritti e rifulse a tal punto per austerità di vita e dottrina da meritare per l’eleganza degli inni da lui composti l’appellativo di cetra dello Spirito Santo>>.

Benedetto XV

Il papa Benedetto XV (1854 – 1922), considerando la figura del santo diacono Efrem ancora pienamente attuale per la vita delle varie Chiese, sia per le sue opere che per l’eccellenza della sua dottrina, il 5 ottobre 1920, con l’enciclica Principi Apostolorum, lo ha proclamato Dottore della Chiesa.

 

Il papa Benedetto XVI (1927 – 2022), nell’Udienza Generale del 28 novembre 2007, ricorda che <<Efrem, onorato dalla tradizione cristiana con il titolo di cetra dello Spirito Santo, restò diacono della sua Chiesa per tutta la vita. Fu una scelta decisiva ed emblematica: egli fu diacono, cioè “servitore” sia nel ministero liturgico sia, più radicalmente, nell’amore a Cristo Gesù, da lui cantato in modo ineguagliabile, sia, infine, nella carità verso i fratelli, che introdusse con rara modestia nella conoscenza della divina Rivelazione>>.

 

Diac. Dott. Sebastiano Mangano

già Cultore di Letteratura Cristiana Antica nella Facoltà di Lettere dell’Università di Catania

 

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