Un lavoro lacerante, tormentato, di estrema angoscia e solitudine. Parliamo di “Sarabanda”, dramma di Ingmar Bergman tradotto da Renato Zatti, che Roberto Andò ha tratto dall’omonimo film che Ingmar Bergman realizzò nel 2003, in scena fino a domenica 9 marzo, alla Sala Verga di Catania, per la stagione di prosa 2924/2025 dello “Stabile” etneo. L’atto unico, della durata di circa 95 minuti, possente e con un cast di alto livello interpretativo, è prodotto dal Teatro di Napoli – Teatro Nazionale con il Teatro Nazionale di Genova e il Teatro Biondo di Palermo. E’ uno spettacolo che inquieta, che – a tratti – turba, opprime, ma che soprattutto coinvolge perchè ti trovi catapultato in una situazione familiare ormai compromessa dagli anni, in una ossessione e in una profonda solitudine, in una convinta volontà di non cambiare che tiene stretti i quattro protagonisti della vicenda.
L’ultima opera dell’autore svedese, una sorta di oscuro laboratorio aperto della drammaturgia bergmaniana, predilige esprimersi più con gesti e silenzi che con le parole e l’edizione, diretta con grande efficacia da Roberto Andò, propone al pubblico un andamento lento e severo, come una sarabanda, con i quattro protagonisti sul palco che raccontano il loro vissuto, i loro sentimenti, i dolori e le angosce. Il testo/testamento di Bergman, dopo trent’anni, non fa altro che riavvicinare i protagonisti di “Scene da un matrimonio”, risalente al 1973, ora invecchiati, con figli, nipoti e segreti ed a fare da leitmotiv alla vicenda è la Sarabanda, terzo movimento della Suite in Si minore n. 2 di Johan Sebastian Bach che dà il titolo alla pièce.
La vicenda vede Marianne che torna a far visita all’ex marito Johan nella casa – incastonata nella foresta svedese – in cui volontariamente si è isolato da anni e nelle cui vicinanze, da pochi mesi, vive il figlio Henrik, uomo fallito come musicista, come padre e come insegnante, con la propria figlia Karin, entrambi violoncellisti ed ossessionati dal ricordo della prematuramente scomparsa moglie e madre. La pièce racconta dei rapporti conflittuali tra padre, figlio e nipote che subiscono ulteriori sussulti dopo l’arrivo di Marianne e che destabilizzano del tutto i loro precari equilibri familiari.
Quello che più colpisce ed impressiona il pubblico che assiste in sala a “Sarabanda” è quella nera oppressione, quella profonda incomunicabilità e quella solitudine esistenziale profonda che pare dai quattro personaggi in scena diffondersi sull’intera umanità, anche quella lontana dai gelidi paesi nordici.
In dieci sequenze e per novantacinque sofferti minuti, si svolge l’inferno dei quattro protagonisti che s’incontrano a due a due, con dei duri faccia a faccia ravvicinati che non fanno altro che allontanarli tra di loro e ad accentuare una tensione sempre più esplosiva sino all’urlo finale di Johan prima e poi delle quattro anime nude, azzannate da un dolore, da un tormento e da una angoscia che non può trovare pace e soluzione di sorta. E proprio qui si conclude “Sarabanda” e si chiude il sipario su quei volti di assoluta sofferenza ed il pubblico si lascia andare in meritati e reiterati applausi per la rappresentazione e per gli interpreti.
La scena, fredda e gelida, è popolata da pochi e funzionali oggetti (un tavolo, una poltrona, un letto, un leggio, gli arredi di una Chiesa) che rivelano i vari ambienti ed è curata da Gianni Carluccio che si occupa anche delle luci che creano ambienti distanti tra loro, ma che si vedono in contemporanea o che creano le dissolvenze dando in definitiva vivacità ad un dramma angoscioso. Intonati a tutto l’inferno che si racconta anche i costumi di Daniela Cernigliaro, le musiche di Pasquale Scialò ed il suono di Hubert Westkemper. E la mano registica di Roberto Andò, a metà tra teatro e cinema, realizza apertura e chiusura di imponenti pannelli, ad inquadrare, volta per volta, due soltanto dei quattro personaggi coinvolti nella “Sarabanda”, nella danza per coppie del titolo, con i protagonisti che si affrontano, disperati e si rifugiano nelle rispettive recriminazioni, negli sfoghi acidi o isterici, nelle confessioni reciproche.
Di grande spessore il cast dello spettacolo, con quattro attori davvero superlativi e di enorme capacità espressiva che rendono vivi nel loro immenso dolore personaggi complessi e imperscrutabili come l’angosciato e cattivo Johan di uno straordinario e rigoroso Renato Carpentieri, la rassegnata e ragionevole Marianne di una misurata e lineare Alvia Reale, il possessivo e disperato Henrik di un convincente Elia Shilton e l’ingenuità e la voglia di vivere dell’incolpevole Karin resa da una vigorosa Caterina Tieghi.
Lavoro di grande spessore, potente e ben interpretato e che mette in evidenza, in tutta la sua drammaticità, aspetti quali le difficoltà delle coppie e delle relazioni umane e familiari, i rimpianti, i rimorsi, i rancori, il dualismo tra amore e odio, il conflitto tra genitori e figli con l’indifferenza e l’attaccamento morboso, la vecchiaia e quella improvvisa angoscia o paura che ci prende negli ultimi giorni della vita. Da vedere assolutamente. Si replica al “Verga” di Catania sino a domenica 9 marzo.
SARABANDA
di Ingmar Bergman
Traduzione di Renato Zatti
Regia di Roberto Andò
con Renato Carpentieri (Johan), Alvia Reale (Marianne), Elia Schilton (Henrik), Caterina Tieghi (Karin)
Scene e luci di Gianni Carluccio
Costumi Daniela Cernigliaro
Musiche di Pasquale Scialò
Suono Hubert Westkemper
Aiuto regia Luca Bargagna
Assistente ai costumi Pina Sorrentino
Assistente alle scene Sebastiana Di Gesù
Direttore di scena Sandro Amatucci
Una produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Teatro Nazionale di Genova, Teatro Biondo Palermo in accordo con Arcadia & Ricono Ltd – per gentile concessione di Joseph Weinberger Limited (agente del copyright), Londra, per conto della Ingmar Bergman Foundation
Durata dello spettacolo 1h e 40’ circa.
Sala Verga – Stagione Teatro Stabile di Catania – Dal 4 al 9 marzo 2025
Foto di scena Lia Pasqualino